E tu, lo ascolti il tuo daimon?
Qui troverai: riflessioni sull'intuito, sulla propria vocazione, un libro da leggere e un tramonto.
Caro Destinatario,
Ti scrivo in una giornata stanca, con gli occhi che un pò bruciano, sulle spalle una notte insonne.
Capiteranno anche a te quei momenti prima di dormire dove la mente si trasforma in un tornado in cui ogni tanto appare qualcosa, un oggetto, un’immagine, una scena. Non si fa in tempo neanche ad osservarli che subito spariscono e ne arrivano altre, poi all’improvviso tutto si ferma e ti chiedi com’è che sei arrivato a vedere tutte quelle cose lì.
In fondo la notte non è altro che l’unico momento in cui facciamo davvero spazio al vuoto, un pò come quando camminiamo concentrati su un sentiero che ha bisogno di attenzione e alla fine alziamo lo sguardo osservando il paesaggio per riagganciarci a dov’è che stavamo andando. C’è un senso di vertigine e spaesamento perché guardare negli occhi il vuoto fa spesso tremare le gambe, soprattutto quando comincia con le sue domande:
“Sei felice? Stai facendo quello che volevi fare? Era davvero così che sognavi la tua vita?”
Qualche tempo fa una cara amica mi ha consigliato un libro, “Il codice dell’anima” di James Hillman, che è esattamente uno di quei libri che ti arrivano quand’è che devono arrivare, quando non sai che dentro c’è proprio quella cosa che avevi bisogno di leggere in quel momento della tua vita.
Ammetto che non ancora l’ho finito, ma Hillman prende dalla filosofia greca qualcosa che inevitabilmente mi affascina e risuona in me molto forte: la figura del daimon. Mi fa venire in mente il tarocco de “La Stella”:
è una carta che non solo indica una luce che ti guida e illumina la strada, ma che se lo sta facendo, è perchè sei su quella giusta.
Ti riporto uno stralcio del libro che spiega cos’è questa figura:
(…)Noi nasciamo con un carattere; che è dato; che è un dono, come nella fiaba dalle fate madrine al momento della nascita.
Questo libro intraprende una strada nuova a partire da un’ idea antica: ciascuna persona viene al mondo perché è chiamata. L'idea viene da Platone, dal mito di Er che egli pone alla fine della sua opera più nota, la Repubblica. In breve, l'idea è la seguente.
Prima della nascita, l'anima di ciascuno di noi sceglie un'immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di esserci venuti vuoti. E il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino.
Secondo Plotino (205-270 d.C.), il maggiore dei filosofi neoplatonici, noi ci siamo scelti il corpo, i genitori, il luogo e la situazione di vita adatti all'anima e corrispondenti, come racconta il mito, alla sua necessità. Come a dire che la mia situazione di vita, compresi il mio corpo e i miei genitori che magari adesso vorrei ripudiare, è stata scelta direttamente dalla mia anima, e se ora la scelta mi sembra incomprensibile, è perché ho dimenticato.
E Platone racconta quel mito affinché non dimentichiamo; infatti, come spiega nelle ultimissime righe, salvando il mito potremo salvare noi stessi e prosperare. Il mito, insomma, svolge una funzione psicologica di redenzione, e una psicologia derivata dal mito può ispirare una vita fondata su di esso.
Il mito porta anche a mosse pratiche. La più pratica consiste nel vedere la nostra biografia avendo presenti le idee implicite nel mito, e cioè le idee di vocazione, di anima, di daimon, di destino, di necessità(…)Poi, suggerisce il mito, dobbiamo prestare particolare attenzione all'infanzia, per cogliere i primi segni del daimon all'opera, per afferrare le sue intenzioni e non bloccargli la strada. Le altre conseguenze pratiche vengono da sé:
a)riconoscere la vocazione come un dato fondamentale dell'esistenza umana;
b) allineare la nostra vita su di essa;
c) trovare il buon senso di capire che gli accidenti della vita, compresi il mal di cuore e i contraccolpi naturali che la carne porta con sé, fanno parte del disegno dell'immagine, sono necessari a esso e contribuiscono a realizzarlo.
Questo passo ha risvegliato in me qualcosa che ho “sempre saputo” e ho riflettuto sul fatto che gli anni della vita che ricordo con più pienezza combaciano esattamente con quelli che potrei definire “gli anni in cui ho ascoltato di più il mio daimon”.
Da quando mio padre a 13 anni mi ha regalato la prima macchinetta fotografica - una compattina rosa che portavo ovunque - non ho mai smesso di fotografare. Per quanto amassi disegnare, mi resi conto che non riuscivo ad esprimere attraverso le matite quello che avevo in testa, nel cuore, nella pancia. Quando iniziai a fare foto ricordo perfettamente quel senso di euforia e liberazione scorrere in me mentre premevo il pulsante di scatto: finalmente avevo trovato un mezzo attraverso cui spiegare com’è che si vede il mondo da qui dentro. Da dentro me.
Quando poi a 18 anni mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti di Roma, ricordo che i miei compagni, bisognosi come tutti di soldi, cominciarono a lavorare come camerieri o animatori per bambini. Di soldi ne avevo bisogno anche io, ma sentivo di non voler far nessuno dei lavori che si fanno da studenti. In me era chiarissimo: volevo fare la fotografa. Così cominciai a lavorare - per quelli che al tempo mi sembravano tantissimi, 50 euro - in una nota discoteca romana, dalle 20:00 alle 05:00 del mattino, con consegna post-prodotta per le 13:00. Uno stress infinito, l’ansia che mi mangiava lo stomaco per riuscire a finire tutto in tempo. Se ci penso ora, una follia. Anche rabbia, pensando allo sfruttamento di una giovanissima a quel modo.
La discoteca era un luogo completamente distante dalla mia persona e in cui provavo non poco disagio a fittarmici dentro. Dicevo sempre: “da grande voglio girare il mondo facendo foto” e lavorare lì era tutto fuorché qualcosa di affine al mio sogno, ma era come se sentissi che era importante fare esperienza lì, imparare, allenarmi.
Di fatto, qualcosa all’improvviso successe. Una mia amica, anche lei fotografa, mi scrisse dicendo di aver conosciuto due signore che avevano un’agenzia di fotografi e videomaker e che cercavano qualcuno da mandare in giro per il mondo per seguire dei viaggi aziendali, ma che facevano fatica a trovare personale perché il requisito necessario era quello di riuscire a post produrre e consegnare tutto mentre si era in viaggio, una rapidità al tempo rara. Ero perfetta.
Così, per cinque meravigliosi anni, ho viaggiato e vissuto esperienze incredibili, visitato luoghi che mai avrei potuto permettermi, tutto grazie alla mia vocazione fotografica.
A ripensarci, mi vengono i brividi: e se fosse che ascoltare e seguire ciecamente il nostro daimon non porti a far girare tutti gli ingranaggi nel verso giusto? A farti arrivare le occasioni per vivere una vita in cui sentiamo vale la pena esistere?
Non a caso, quando poi i problemi famigliari sono arrivati e mi sono ritrovata costretta a interrompere ogni cosa, tutta la magia, l’euforia della gioia di vivere, lo svegliarmi con un senso, si sono spente. Ho cominciato a fare psicoterapia perché mi sentivo paralizzata e vuota: ogni giorno, era solo un giorno da far passare velocemente.
Per fortuna grazie alla mia eccezionale terapeuta - che mi piace chiamare “compagna di viaggio” - sono tornata a riascoltare di nuovo inconsapevolmente una seconda (e addirittura una terza) chiamata dal mio daimon.
Devi sapere infatti che dopo il liceo, le scelte fra le università erano due: l’Accademia di Belle Arti o Scienze Psicologiche. Oltre alla mia vena creativa, ho sempre amato ascoltare e cercare un altro punto di vista sulle questioni. Sin da piccola, ho sempre notato che alle persone viene spontaneo aprirsi profondamente con me, cosa che mi ha sempre fatto sentire onorata e piena, soprattutto perché il senso di cura e aiutare l’altro, fanno parte di quelle cose che mi fanno stare bene e che sento di saper fare naturalmente.
Al tempo però, c’era lo stigma della psicoterapia, si pensava che chi ci andava “era matto” e se ne parlava sottovoce, quasi come se ci se ne dovesse vergognare. Motivo per cui i miei, pensando al mio futuro, per assurdo diedero più fiducia alla mia carriera da artista che da psicologa.
Ma ecco che due anni fa, che di anni ne avevo 32, una voce dentro di me ha cominciato a parlarmi di nuovo e a sussurrarmi qualcosa come: “dato che per la tua famiglia devi stare a casa, sarebbe un’ottima occasione iscriverti un’altra volta all’università e fare Psicologia come hai sempre voluto”, ma come sempre la Ragione, che sento essere il più grande nemico del nostro daimon, è venuto a mettere i bastoni fra le ruote, facendomi pensare che riprendere a studiare sarebbe stato troppo pesante, che avrei aggiunto altro stress, che a quest’età non sarebbe valsa la pena perchè il percorso è lungo.
Eppure anche qui, qualcosa all’improvviso è successa di nuovo: una delle mie più grandi amiche ed ex compagna di banco di liceo, mi dice che anche lei stava pensando di iscriversi a Psicologia e che avremmo potuto farlo assieme, che mi avrebbe aiutato lei con gli appunti se non avessi avuto tempo e testa per starci dietro, che sarebbe stato divertente.
Oh, caro Destinatario, come si fa a non pensare che tutto questo non arrivi per caso? Quante possibilità c’erano che potesse capitare una tale coincidenza?
Ebbene, oggi ho 34 anni e studio al secondo anno di Scienze Psicologiche. In sette anni di Psicoanalisi della Relazione, non solo mi sono profondamente innamorata di questa scienza, ma sento di avere la fortuna di star imparando oltre che con lo studio, con l’esperienza diretta da paziente.
Certo, studiare è pesante, ma mentre lo faccio sento la curiosità diventare famelica, rimango affascinata e appassionata di tutto ciò che leggo e finalmente sento riscorrere in me il senso della mia esistenza.
E se fosse che seguire l’Intuito, concretizzare ciò che dice il sesto senso superando qualsiasi paura dettata dalla Ragione, è il segreto per vivere una vita felice?
Mossa da questa nuova convinzione, ho capito che c’é un’altra cosa che il mio daimon sussurra costantemente all’ orecchio da sempre: la scrittura. Un’immagine tipica della mia infanzia, adolescenza e gioventù è stare china a scrivere, tutti i giorni. Non importa cosa, ho necessità di farlo.
Quando questa estate una delle mie più grandi amiche d’infanzia mi ha regalato un taccuino, mi sono ricordata di quanti ne ho ricevuti in regalo negli anni perchè per gli altri io sono sempre stata una scrivente. E’ stato sconvolgente per me realizzare pochi mesi fa: “ma quanti anni è che non scrivo?”
Prima ancora della fotografia e del prendersi cura, la Suzy bambina passava pomeriggi interi a leggere e a scrivere racconti, libri, diari. Era un bisogno primario.
Così, quando questa estate, con questo nuovo taccuino, ho riprovato a scrivere, la frustrazione è stata enorme: non riuscivo. Il foglio bianco mi toglieva il fiato, mi metteva angoscia, non riuscivo.
Ma anche questa volta, qualcosa all’improvviso è successo: un giorno mi ritrovo sotto agli occhi un articolo che parla di Substack, una nuova piattaforma social su cui si può scrivere. Ha la faccia sia di una newsletter che di un blog. Di questi ultimi, ho ricordato, ne avevo aperti tantissimi: su MSN, su MySpace, su Tumblr… Ma che fine avevano fatto? Oh mio dio, quanto mi piaceva scriverli.
Così eccoci qui, all’ultimo ascolto del mio daimon. Mentre scrivo questa lettera, mi sento fluire come un fiume che torna a scorrere dopo anni di secca. Sono in uno stato di trance e di excitement, le parole escono attraverso queste dita che battono colpi pieni, sicuri, vivissimi su questa tastiera. Non c’è uno scopo, un obiettivo, poco importa se queste missive avranno seguito. C’è solo il mio bisogno ed il sentirmi viva nel farlo.
Sono convinta però che queste lettere, Caro Destinatario, arriveranno proprio a te che in questo momento hai bisogno di leggere queste esatte parole.
Dunque chiudi gli occhi, fai un bel respiro ed ascolta il vuoto: il tuo daimon vuole parlarti.
PS.
Lascio qui la foto di un tramonto visto a Lanzarote mentre camminavo stralunata in una dimensione onirica e sospesa. Sono stata in silenzio, col vento, rapita da quel sole che sentivo fosse lì per me ed io lì per lui. Quel giorno il daimon mi ha voluto portare lì.
E tu, hai mai seguito la sua voce? Hai mai provato a spegnere i tentativi di autosabotaggio della Ragione per inseguire qualcosa che il tuo intuito e la tua innata propensione chiamavano forte?
Fammi sapere, sono curiosa.
From Suzy, with love.
Benvenuta! Mi ritrovo molto quando parli dell'autosabotaggio della Ragione, per me va a braccetto con il timore del giudizio degli altri. Ce ne libereremo ✨️